15 Set Lo psicoterapeuta può avere dei pazienti preferiti?
È contro i confini della terapia, se lo psicoterapeuta ha dei pazienti preferiti?
Immaginando per assurdo che il terapeuta dica al suo paziente: “sei il preferito“, posso ipotizzare che si ritrovi con qualche difficoltà psichica importante che gli impedisce di svolgere bene il proprio operato.
Il mio stile di lavoro è abbastanza flessibile e segue il paziente e la sua problematica. Posso stare in ascolto, favorire l’espressione di sé, come posso favorire il confronto con domande e dove trovo opportuno, utilizzo molto l’humour, in veste giocosa e anche provocatoria. Bisogna saperci fare, con attenzione e cura.
Dire che “sei il mio paziente preferito” non è immaginabile, né come battuta, né come considerazione. È un’affermazione vietata nel nostro lavoro.
Perché è una comunicazione a più livelli che (forse) il paziente avrà già sentito almeno una volta nella sua vita. Per esempio, quando il genitore, scherzando dice che è LUI il figlio preferito oppure è l’altro io preferito in famiglia.
Altri significati:
- Violazione del setting terapeutico.
Lo spazio di terapia DEVE mantenersi neutrale. La figura del terapeuta DEVE essere imparziale, neutrale, condizione fondamentale per la buona riuscita del trattamento psicoterapeutico. Questo non significa freddezza e distacco. Significa assertività, attenzione, rispetto. Costruiamo insieme un rapporto di fiducia, pulito, senza giochetti. - Se è il paziente a fare i giochetti (a voler impressionare, lusingare, attirare le attenzioni), il terapeuta NON DEVE colludere con lui, cioè rispondere nella stessa maniera.
La stanza di terapia è un microcosmo del mondo del paziente, come si manifesta dentro, così lui si manifesta fuori, nella vita reale. Il compito del terapeuta è di favorire il dialogo e l’introspezione ed aiutare il paziente a vedersi da solo come si comporta, di evolversi. - Favorisce la dipendenza, lo attira con la seduzione.
Se il terapeuta dice al paziente che è lui quello preferito, crea un gioco a due perverso in cui sollecita l’altro, lo lusinga e lo manipola, invece di permettere la sua autonomia. Il terapeuta stesso ha un problema con i propri confini interni, tende a inglobare l’altro per un bisogno inconscio di potere. - Alimenta il falso sé del paziente
(Quindi esisto se sono il migliore, il preferito, sollecita la sua grandiosità, diciamo la vanità collegata ad aspettative esterne e non cura il suo vero sé, bisogni e desideri genuini inespressi della persona). Il paziente sarà distratto dalle lusinghe, invece di stare centrato su di sé – il motivo per il quale è venuto in terapia. Per stare con sé, imparare cose di sé, osservarsi e portare tutto poi nella vita vissuta, con enormi benefici. - Come conseguenza di tale affermazione, un paziente bisognoso potrebbe voler accontentare maggiormente il terapeuta.
Un paziente diffidente e arrabbiato potrebbe vederla con scetticismo e non fidarsi (cosa vuole da me?); un paziente che tende al controllo e in generale al dominio, potrebbe sentirsi superiore, rinforzato e in vantaggio.
Come vedi, le variabili relazionali che si possono scatenare sono molteplici e sono tutte altamente disfunzionali per l’andamento positivo del lavoro psicoterapeutico.
[testo originale su it.quora.com]
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