Ritrovare la gioia dopo un evento tragico

Come ritrovare la gioia di vivere dopo un evento tragico

Ieri. Giornata mia lunga di lavoro, sono stanca, rientro a casa in macchina. Vado a fare il pieno dal benzinaio nel mio quartiere, come altre volte. Lui è Stefano, 55 anni, gioviale, occhio lungo e pacatezza, addetto al rifornimento e alla cassa. Capace di stare in piedi, calmo e presente con il caldo e con il freddo. Si sa, è così quando lavori all’aperto. Di solito mi cambia le banconote e scambiamo due parole, mentre adopero il carburante.

Uno sguardo mio da lontano e sento che c’è qualcosa che non va. Forse è stravolto dalla fatica? Sento, percepisco. Chiedo all’amico del Bangladesh che nel frattempo è riuscito ad avere il permesso di soggiorno e lavora in regola al benzinaio, insieme a lui. Scuretto, basso, occhi vivaci e sorriso genuino.

Cosa succede a Stefano?

Gli è morta la figlia due settimane fa. Unica figlia, 22 anni, incidente in moto, guidava il fidanzato. Lui si è salvato. Un lutto imprevedibile.

Mi si è stretto il cuore. La parte terapeuta ha strillato di aiutare questo uomo, questa famiglia, lui e la moglie. Lasciargli un recapito telefonico, non lo so, fare qualcosa.

La parte mia umana, la veste della persona (che include la terapeuta) ha sussurrato abbastanza forte di essere rispettosa del suo dolore e fare due passi indietro. È un momento delicato in cui sarà circondato da sguardi, idee, silenzi ed imbarazzi della gente che non sa come comportarsi in tali situazioni. Non devo aggiungermi, mai essere un peso, un dovere.

Come si ritrova la gioia dopo un evento tragico? Gli studiosi del lutto hanno scritto libri sui passi da intraprendere per superare un grande dolore e ritrovare la serenità. La realtà nuda e cruda è che non esiste una ricetta predefinita. Ciascun storia è personale, il vissuto è soggettivo e sfumato, tonalità e intensità di svariati colori.

La vita è assurda ed imprevedibile

Un tale dolore è talmente atroce che potrebbe essere difficile da tollerare nel tempo. Potrebbe diventare un trauma. Potrebbe essere tanto intenso da voler togliersi la vita per liberarsi, perché fa un male cane. Simile ad una piaga sempre aperta e sanguinante.

Il dolore psichico è spesso sottovalutato. Siccome invisibile, sembra non esistere. Solo perché uno è ancora capace di andare al lavoro, non significa che non esiste questo dolore.

Potrei parlarvi delle tecniche per la desensibilizzazione dell’intensità emotiva, le conosco. Potrei parlarvi dell’ascolto empatico, fa parte della mia professione. No.

Bisogna onorare il dolore come la gioia. E’ accaduto una tragedia in questa famiglia. Rispettare i tempi altrui. Essere una presenza assente, delicata, mettersi nell’ombra. Pronti a dare un abbraccio, a dare un aiuto concreto se viene richiesto o se l’altro è troppo disorientato per farcela. Bloccare in fascia il giudizio. Se l’altro si veste di nero o di rosso non significa niente. Se ride e scherza con tutti non significa che non soffre. Non sei lì a casa sua, tra le mura domestiche per osservare ciò che succede. Se l’altro è trasandato anche per un lungo periodo di tempo, forse va bene così, finché si percepisce una fiamma vitale dentro di sé.

Bisogna normalizzare il dolore. Renderlo visibile, poterne parlare senza imbarazzo, senza vergognarsi. Il dolore fa parte della vita, non è un eccezione dell’esistenza. È solo questione di tempo quando arriverà. Prima o dopo, non si sa. Pensare al dolore come possibilità ci rende meno ansiosi, meno intimoriti dalla vita stessa. Pensare al dolore comporta anche pensare a cosa fare in caso di.., riflettere porta idee, allarga gli orizzonti, amplifica la nostra conoscenza.

ll tempo da solo non guarisce le ferite

Riprendersi da un trauma richiede di possedere delle risorse interne ed esterne a se stessi. Interiori intese come una tale forza del sé da poter tollerare il dolore anche mentre siamo immersi in esso, indirizzare il briciolo di forza vitale in una dimensione positiva, costruttiva (per esempio il lavoro), continuare la propria vita, anche se con molta fatica e non negativa autodistruttiva (sostanze, alcol, ecc).

Certi dolori, come la perdita di un figlio, non svaniscono. Il dolore permane nel tempo, con la diminuzione dell’intensità. Arriva il momento in cui lo si può anche raccontare, condividere con l’altro come una parte della propria esistenza. La vita stessa potrebbe acquistare un sapore diverso, più intenso, concreto, primordiale.

Il dolore frammenta, irrompe, sconvolge l’esistenza della persona stessa e si propaga come una fragranza negli altri angoli della vita, inquina il suo tessuto sociale e familiare. Perché siamo connessi ad un livello sottile, anche se non ci piace credere. Allo stesso tempo il dolore isola la persona dal resto del mondo, la dissocia, la rende una marionetta sorridente ed efficiente che sa motivarsi ad andare avanti, senza se e senza ma. Il dolore potrebbe non essere più polvere nascosta sotto il tappeto, ma essere diventata il tappeto stesso. Entrato nelle fibre del tappeto e diventato tutt’uno con esso, difficile da individuare.

Altre volte il dolore si può sublimare, cioè trasformare, condividere, esprimere in modi diversi. Dal dolore profondo sono nati spesso dei capolavori. Dal caos nascono le comete.

Eric Clapton scrisse una bellissima canzone dopo la perdita del figlio Conor di 4 anni che cadde dal 53esimo piano di un grattacielo di New York.

Tears in heaven. Lacrime in paradiso.

Olivia Ceobotaru
info@oliviaceobotaru.com

Sono Olivia Ceobotaru, psicologa clinica. Lavoro sul tema dell’amore e delle relazioni per adulti, coppie e famiglie. Tratto con rispetto e leggerezza argomenti delicati come l’abuso, la violenza in generale, il trauma.

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